giovedì 10 maggio 2012

I genitori come risorsa nella terapia familiare


          
Ogni componente della famiglia costituisce una risorsa importante all’interno di una terapia familiare.
Spesso accade che il ruolo del genitore sia quello più attaccato e condannato, quasi fosse colpa del genitore se un figlio o un fratello manifestano dei disagi! In verità ogni componente della famiglia è interdipendente dagli altri e la relazione che si viene a creare all’interno del nucleo familiare è frutto di un’ interazione reciproca, in cui ognuno porta il suo contributo, più o meno implicitamente, e contribuisce a dare una direzione al rapporto in corso.

La nostra esperienza ci insegna che, nel lavoro con le famiglie, non ha senso parlare di colpe, negligenze o difetti di uno più che di un altro (carenze attribuite spesso ai genitori o al figlio “problematico”). Riteniamo invece molto più realistico leggere i disagi presenti come dei tentativi, da parte di ognuno, di far fronte a delle difficoltà personali o relazionali. Ma spesso accade che queste strategie personali finalizzate alla risoluzione di un problema, non portino la persona ad ottenere i risultati sperati, ad esempio: si cerca di comunicare reciprocamente qualcosa senza trovare il modo giusto per farlo; di esprimere richieste d’aiuto attraverso modalità comunicative che rischiano di essere fraintendibili; di arginare l’ ansia vissuta in momenti particolari col rischio che la propria inquietudine assuma la forma di distacco emotivo, indifferenza, intolleranza, rifiuto….. 


A volte accade che i momenti difficili della crescita di un figlio, possano coincidere con altrettante difficoltà dei genitori che, prima ancora di essere “genitori”, sono “esseri umani” e, come tali, esposti ai problemi che la comune esistenza comporta: conflitti coniugali, familiari, lavorativi, momenti di sconforto dovuti ad imprevisti, momentanee vulnerabilità, pensieri di carattere economico-finanziario da cui dipende il benessere dell’intera famiglia, rapporti complicati con i vecchi genitori o con i fratelli, senso di solitudine provocato dall’indisponibilità, più o meno prolungata, del sostegno del proprio coniuge per i motivi più disparati……. 

In questi casi può accadere che genitori e figli, sebbene legati da un affetto indiscutibile, non riescano a trovare dei punti d’incontro nonostante entrambi cerchino di impegnarsi massimamente per migliorare la relazione: il genitore vorrebbe esprimere sostegno senza compromettere il messaggio educativo e il figlio vorrebbe perseguire la spinta verso la crescita autonoma senza deludere la figura genitoriale o rischiare di perderne l’affetto.

Queste due esigenze, di cui ogni parte in causa si fa portavoce, molto spesso sembrano inconciliabili e ognuno dei partecipanti al conflitto familiare, tende ad attribuire la colpa all’altro che, pertanto, diventa “il cattivo”, la causa di tutti mali, “il responsabile” del problema.

Ci teniamo a sottolineare che, quando un componente della famiglia manifesta un problema, ogni altro membro del nucleo costituisce una preziosa risorsa per la risoluzione del problema stesso in quanto, molti aspetti della relazione che ha con l’altro, possono trasformarsi in un valido aiuto al benessere di ognuno e, più in generale, di tutta la famiglia.

Il ruolo centrale, in questo processo di aiuto, è costituito proprio da quei genitori che, invece, spesso ingiustamente, vengono accusati di essere la causa del malessere.
Il ruolo del genitore è una funzione molto complessa e delicata che frequentemente non viene compresa da chi non la ricopre e per questo facilmente attaccabile, ma è anche plausibile che colui che non sperimenta la genitorialità, come per esempio un figlio, non riesca a comprenderla: è proprio questa distanza concettuale tra genitori e figli che rende tale funzione unica e preziosa e che caratterizza la relazione. 


La funzione genitoriale richiede tutta una serie di competenze con cui ci si confronta solo quando si entra a far parte del mondo dei genitori per cui, nonostante alcune persone abbiano potuto fare esperienze precedenti più o meno propedeutiche a questa fase della vita, non si arriva mai abbastanza preparati ad assolvere questo compito e non se ne comprende la gravosità e la bellezza fino a quando non si sperimenta davvero.

Spesso il genitore è messo davanti a scelte difficili non solo rispetto ai figli, ma anche rispetto ad altri contesti: con il partner, con i familiari......e la difficoltà, in molti casi, è dovuta proprio al doppio ruolo che un genitore riveste perché, oltre ad essere un coniuge, un figlio, un lavoratore.....si sente “molto genitore” e non sempre questa molteplicità di incarichi volontari o involontari, favorisce scelte serene che accontentino tutti coloro che fanno parte dei nostri contesti di vita.

All’interno di una relazione, la compartecipazione in atto prevede sempre un’influenza reciproca e circolare sul rapporto in corso, sia nelle situazioni di benessere che di malessere del rapporto. In una famiglia sono necessariamente presenti relazioni che possono essere più o meno serene ma, in ognuna di queste, la responsabilità sulla salute del legame affettivo ed emotivo, è equamente distribuita, senza colpevoli preferenziali o designati, tranne che nei casi di evidente assenza di accudimento da parte dell’adulto in relazione ad un minore.

Ci sono momenti particolari della vita di una famiglia in cui è più facile che si presenti il rischio di incomprensioni e queste, a volte, rischiano di trasformarsi in disagi acuti che sembra difficile superare. La terapia familiare aiuta ogni persona del nucleo a riscoprire nuove possibilità di esprimersi e di partecipare alla relazione, favorendo l’emergere di qualità e competenze che vengono portate alla luce proprio grazie alla presenza e all’aiuto degli altri familiari, senza i quali probabilmente non si creerebbero le condizioni ideali per favorirle.

È per questo motivo che riteniamo di primaria importanza la presenza di quanti più familiari possibili durante la terapia, perché ogni persona affettivamente significativa, costituisce una risorsa terapeutica inestimabile.




Sviluppo infantile




L'infanzia comprende un periodo della vita particolarmente importante in quanto il modo in cui il bambino elabora gli stimoli provenienti dall'esterno, il tipo di stimoli che riceve e il processo di sviluppo fisico e psichico incidono notevolmente sulla formazione della personalità.
Fin da subito il bambino è predisposto ad imparare a rispondere nel modo più consono agli stimoli esterni ed interni attraverso un processo di adattamento che gli permette di diventare sempre più competente nella gestione dei contesti di vita. 



LA CRESCITA CORPOREA E LO SVILUPPO MOTORIO 

Dall'infanzia all’adolescenza, crescita il bambino subisce repentini e sostanziali mutamenti nella propria immagine corporea acquisendo nuove abilità.
Ad esempio la testa del neonato e i suoi occhi, che tendono ad evocare tenerezza e accudimento a causa della loro forma e proporzione, si avvicinano lentamente alle dimensioni adulte. Il bambino piano piano impara a compiere movimenti più precisi, a dosare la forza, perfeziona la sua motricità fine. 


La trasformazione fisica è connessa ad importanti risvolti psicologici.
La relazione con il “mondo dei grandi” cambia insieme al corpo. Un bambino molto alto, ad esempio, viene percepito da noi come più adulto rispetto ad un coetaneo più basso che può facilmente esprimere l'idea di immaturità. A sua volte queste differenze fisiche influenzeranno anche il rapporto del bambino con il mondo dei pari. Esistono infatti delle caratteristiche corporee che vengono ipervalorizzate dal gruppo dei coetanei, altre che possono dar luogo a comportamenti di espulsione dal gruppo, alla presa in giro, fino ad arrivare a veri e propri fenomeni di bullismo.
Vivere in modo problematico queste differenze individuali, può dare origine a disturbi legati alla percezione del proprio corpo, come nel caso della dismorfofobia, che diventa più frequente nell’adolescenza. 


LO SVILUPPO COGNITIVO 


In questa fase del ciclo vitale il nostro sviluppo cognitivo è massimamente produttivo . Il bambino, come spesso notano genitori e parenti, “impara ogni giorno qualcosa”, la sua mente è flessibile e recettiva, il suo pensiero si modifica rapidamente. Piaget sostiene che lo sviluppo intellettivo attraversa diversi stadi: 

1. L’intelligenza senso-motoria si struttura prima dell’apparire del linguaggio ed è prelogica. La sua maturazione avviene nei primi 18 mesi. 

2. L’intelligenza pre-concettuale e intuitiva emerge quando compare la funzione simbolica, in particolare il linguaggio (18 mesi – 7 anni). 

3. L’intelligenza operatoria è organizzata secondo strutture verbali e logiche. Si divide in operatoria concreta (7-11 anni) e operatoria astratta (oltre gli 11 anni). 


Lo sviluppo cognitivo problematico 

Sono molte le patologie che hanno origine da uno sviluppo cognitivo problematico a causa di fattori genetici o ambientali che ne influenzano l'andamento. Un contesto di vita stimolante e gratificante tende a favorire ed arricchire le capacità cognitive dei bambini, mentre un ambiente poco incentivante all'apprendimento e all'esplorazione tende ad avere un effetto contrario. Ma è pur vero che, indipendentemente dalla deprivazione di stimoli ricevuti, un bambino può sviluppare delle doti cognitive anche superiori alla media nei casi di resilienza, ovvero la capacita di una persona di reagire a stress, traumi, condizioni di vita sfavorevoli che, generalmente,per la maggior parte degli individui, risultano compromettenti il proprio benessere e il proprio sviluppo. 


LO SVILUPPO AFFETTIVO 

Lo sviluppo affettivo riguarda l’area delle relazioni umane ed il modo in cui il bambino si relaziona agli altri significativi. La più primitiva e più significativa relazione, definita da alcuni orientamenti come “primaria”, per sottolinearne il ruolo centrale, è quella con la madre che funziona da prototipo per tutte quelle successive: sulla base di essa si struttureranno tutte le altre.


Sentimenti, emozioni ed umore

Nell’ambito dell’affettività è necessario differenziare sentimenti, emozioni ed umore. 

I sentimenti sono la parte più stabile e persistente dell’affettività, nonché la componente basilare dell’affettività. 

Le emozioni sono stati affettivi spesso molto intensi ma più transitori, insorgono e si esauriscono rapidamente, si esprimono anche a livello neurovegetativo (come quando aumentiamo la sudorazione per una forte emozione o il cuore ci comincia a battere forte dando luogo alla tachicardia). 

L’umore invece, è la tonalità affettiva di base, costituisce il temperamento di base di una persona in un certo periodo della sua vita. 


Lo sviluppo affettivo problematico 

In alcuni casi, lo sviluppo affettivo procede in modo difficoltoso e succede che: 

I. Subisce un arresto e non raggiunge la fase successiva. È il caso per esempio del bambino di 10 anni affetto da ansia da separazione che non accetta di abbandonare il letto dei suoi genitori. 

II. Si osserva un ritorno a modalità interattive precedenti che erano state abbandonate e il bambino non riesce più a mettere in atto comportamenti precedentemente acquisiti appropriati alla sua età mentale. 

III. Il bambino utilizzi modelli relazionali disfunzionali. 

Alcuni teorici dell’attaccamento hanno descritto questi fenomeni facendo ricorso ai modelli operativi interni (MOI).
I MOI sono degli schemi relazionali interni che nascono dall’interiorizzazione delle prime relazioni significative e guideranno il soggetto, oltre cha a livello affettivo, anche a livello comportamentale, relazionale e cognitivo in quanto le capacità cognitive, lo sviluppo fisico e l’accrescimento delle abilità sociali influenzano la sfera affettiva e sono da essa influenzati. 

Il cambiamento nei modelli operativi può determinarsi, ad esempio, quando un genitore precedentemente disponibile e comprensivo, a causa di eventi personali, diventi ansioso o profondamente depresso, diminuendo il suo livello di sensibilità nei confronti del figlio. Al contrario, se un genitore risponde più sensibilmente ai bisogni affettivi del suo bambino, questo ricostruirà o potenzierà un modello operativo di sé valido. 

Uno sviluppo affettivo buono risulta essere un fattore protettivo in molte patologie infantili quali la Fobia Scolastica, l’Ansia da Separazione e l’Ansia Sociale, i Disturbi dell’Evacuazione (come nel caso dell’Enuresi), il Mutismo Selettivo, il Disturbo Reattivo dell’Attaccamento.
La sfera affettiva è coinvolta anche nei disturbi d’ansia, nei disturbi dell’umore (come ad esempio nella depressione) e nei disturbi alimentari.


Attaccamento sicuro, evitante, ambivalente disorientato 

Il comportamento affettivo dei bambini è stato catalogato dagli studiosi utilizzando un paradigma sperimentale chiamato Strange Situation. Da esso sono nate inizialmente tre categorie comportamentali, alle quali ne è stata successivamente aggiunta una quarta. Esse descrivono il tipo di interazione tra il bambino e sua madre classificandolo secondo il tipo di attaccamento mostrato dal bambino verso questa figura genitoriale . 

- Parliamo di attaccamento sicuro quando il bambino dimostra di aver fiducia nella disponibilità e nel supporto della figura di attaccamento e si sente libero di poter esplorare il mondo. Tale stile sarebbe promosso da una figura sensibile ai segnali del bambino, disponibile e pronta a dargli protezione nel momento in cui il bambino lo richiede. Alcuni tratti caratteristici sono: la convinzione di essere amabile, l’assenza del timore di abbandono e la fiducia nelle proprie capacità e in quelle degli altri. 

- L’attaccamento insicuro evitante presuppone che il bambino costruisca le proprie esperienze facendo esclusivo affidamento su se stesso, senza l´amore ed il sostegno degli altri, ricercando l´autosufficienza anche sul piano emotivo. I tratti che maggiormente caratterizzano questo stile sono: insicurezza, convinzione di non essere amato, percezione del distacco. 

- Nell' attaccamento insicuro ambivalente, se il bambino ha sperimentato risposte intermittenti ed imprevedibili alle sue richieste di affetto, svilupperà un modello mentale di sé come di una persona vulnerabile e degli altri come persone inaffidabili. 

- Successivamente è stata inserita un’ultima categoria, quella dell’ attaccamento disorganizzato/Disorientato, che descrivere le diverse gamme di comportamenti spaventati, strani, disorganizzati o apertamente in conflitto, precedentemente non individuati. 


LO SVILUPPO SOCIALE

Il mondo sociale del bambino costituisce una delle aree più importanti nella sua vita. La famiglia rappresenta il primo ambito sociale di cui il bambino è parte. Raggiungendo una maggiore maturità relazionale diventano significative anche altre influenze, in primis del gruppo dei coetanei, ma anche della scuola, del contesto sportivo e dei mass-media. 

Gli amici rappresentano un elemento di confronto costante attraverso cui il bambino può misurare sé stesso e la sua crescita. Il fenomeno della identificazione conduce il bambino a pensare, sentire ed agire come se le caratteristiche dell’altro fossero le proprie. La posizione che si assume all’interno del gruppo influisce sull’autostima e sull’auto-efficacia. 

È proprio per questo motivo che fenomeni di presa in giro e di bullismo all’interno del gruppo acquisiscono una enorme rilevanza. 
Le ragioni che possono far sentire un individuo scomodo nel suo gruppo di coetanei sono numerose e spesso egli tende a pensare di risolvere il problema evitando il contesto che gli crea il disagio e rifugiandosi in contesti meno ansiogeni che però possono generare dipendenza come per esempio la dipendenza da internet. In questo modo si entra in un’altra nuova comunità in cui, se da un lato ci si sente parte di qualcosa, dall’altra ci si sente protetti, seduti davanti al proprio computer, sulla propria scrivania, in un ambiente percepito come familiare. 
Negli ultimi anni tuttavia, il fenomeno della rete ha assunto una valenza più ampia, non si può più relegare la sua funzione ad una dimensione di rifugio, ma si è innescato un vero e proprio nuovo modo di vivere la socialità. 

L’infanzia rappresenta una fase del ciclo vitale molto delicata in cui la vigilanza, l’attenzione e la sensibilità dei genitori rispetto alla salute psicofisica del bambino costituisce una grande risorsa per una crescita serena, all’interno e all’esterno del contesto familiare.





Disturbi alimentari nella prima infanzia

Da sempre i genitori si preoccupano della nutrizione dei propri figli poiché una sana ed equilibrata alimentazione favorisce un altrettanto sano sviluppo del bambino, soprattutto nei primi anni di vita. 

Un Disturbo dell'alimentazione insorge quando si incontrano dei disagi, di diversa intensità, durante il processo di nutrizione più o meno duraturi nel tempo. 



In realtà esistono dei momenti critici in cui l’insorgere di piccoli rifiuti di cibo da parte del bambino, è frutto della fase dello sviluppo che sta vivendo. Uno di questi delicati momenti è quello dello svezzamento, in cui si passa da cibi liquidi (il latte) a cibi più consistenti (le pappe). In questo periodo, è utile che l’adulto che nutre il bambino, comunichi al piccolo la propria tranquillità e sicurezza, poiché l’introduzione di un cibo nuovo e diverso può essere per lui fonte di ansia. 

Tra le condizioni più frequenti, vi è quella del bambino che mangia solo alcuni cibi, a discapito della varietà alimentare: in alcuni casi, caratteristiche come il colore o la forma dell'alimento, possono influenzare la scelta; in queste situazioni, è necessario stimolare il bambino con latri cibi per riattivare la curiosità verso nuovi sapori. 


Mentre alcuni bambini respingono il cibo mettendo in atto condotte di RIFIUTO durante il momento della nutrizione, altri ricorrono al VOMITO.
Nei casi più gravi, si può arrivare ad un vero e proprio DISTURBO DELLA NUTRIZIONE DELLA PRIMA INFANZIA, ossia l’incapacità di mangiare adeguatamente, come manifestato dalla significativa impossibilità di aumentare di peso o da una significativa perdita di peso durante un periodo di almeno un mese (DSM IV tr). In questi casi, dopo aver escluso particolari condizioni mediche associate, è auspicabile ricorrere prontamente ad una terapia. 

Molto spesso l’esordio del sintomo può essere correlata ad eventi specifici occorsi nella vita del bambino: una malattia, un trasloco o l’affidamento ad una nuova figura di accudimento, come succede durante l’inserimento al nido. In questo caso, è importante la cooperazione tra i genitori e la nuova figura, con lo scopo di condividere abitudini e routine, per rendere il passaggio meno brusco; è importante inoltre pianificare insieme l’introduzione di nuovi cibi e l’inizio dello svezzamento, per far sì che il bambino ritrovi le stesse modalità di somministrazione del cibo sia a casa che a scuola: la presenza di questa forma di coerenza in tutti i contesti di vita del bambino, dona sicurezza, fiducia e stabilità al piccolo. 

È comprensibile che un genitore, in condizioni di alimentazione inadeguata del proprio figlio, possa sentirsi inadeguato egli stesso, arrivando ad esperire vissuti di ansia e di impotenza, difficili da gestire. 
Il bambino, d’altra parte, può leggere la preoccupazione del genitore in molteplici modi e attivare risposte comportamentali particolari, come reazione allo stato d'animo dei genitori. 
Ogni sintomo manifestato, ha un valore relazionale profondo: è probabile che il bambino, attraverso il suo rifiuto, voglia comunicarci qualcosa di specifico e che usi i mezzi e i canali comunicativi che egli conosce meglio, soprattutto quando il linguaggio ancora non è pienamente sviluppato. In questi casi, un lavoro psicoterapeutico mirato sulla relazione tra figlio e genitori, ci consente di decodificare il messaggio veicolato dal sintomo, investirlo di un significato e contestualizzarlo, restituendo al bambino e alla famiglia nuove possibilità comunicative. 

Il momento del pasto ha un valore significativo perché nutriamo nostro figlio, oltre che con gli alimenti, con le nostre emozioni e la nostra affettività. Quello che passa attraverso questo canale, lo nutre ad un livello profondo ed ha una grande influenza sullo sviluppo psicoaffettivo del bambino, oltre che sulla crescita fisica. 

In tutte queste situazioni, una terapia familiare consentirebbe a tutti i componenti del nucleo, anche e soprattutto ai più piccoli, di comunicare con gli altri ad un livello più intimo e profondo, favorendo uno scambio più chiaro e una maggiore e reciproca possibilità di conoscersi e comprendersi.



Enuresi

Nella nostra cultura, uno dei passaggi critici che il bambino si trova ad affrontare in età prescolare è quello del raggiungimento del controllo sfinterico. Si tratta di un evento importante e delicato che coinvolge il bambino e le sue figure di attaccamento. Il piccolo deve imparare a controllare urina e feci, passando dal pannolino alle mutandine ed introducendo il vasetto. 

La complessità del processo di apprendimento del bambino è descritta in modo significativo da James Anthony secondo il quale “il rituale del gabinetto deve apparire al bambino come una sorta di complessa e meticolosa esperienza; le esortazioni della madre lo mettono di fronte all'impegno di individuare in tempo i segni del bisogno di evacuare, di interrompere il gioco, di sopprimere il desiderio di evacuare immediatamente, di cercare e trovare un posto appropriato per lo scopo, di assicurarsi una privacy adeguata, di slacciarsi e liberarsi dai vestiti, di appoggiarsi in modo sicuro sul vaso… di capire quando il procedimento è finito, di pulirsi in modo soddisfacente, di scaricare il gabinetto, di risistemarsi i vestiti, aprire la porta e spuntare fuori per riprendere il gioco esattamente nel punto in cui era stato interrotto”. 

Il passaggio successivo prevede che il controllo appreso durante il giorno si "trasferisca" al periodo notturno. Il bambino impara a trattenersi per tutta la notte oppure a svegliarsi quando la vescica è piena per andare a fare la pipì. 
Esiste una fase di passaggio in cui il bimbo sembra non riconoscere lo stimolo della pipì e continua a bagnare vestiti e letto, che tuttavia rientra nella normalità. 

Alle volte qualcosa non funziona come dovrebbe e tale fase si protrae nel tempo, fino a diventare una vera e propria patologia. Definiamo, secondo il DSM IV (manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) l’enuresi come una ripetuta emissione di urine durante il giorno o la notte nel letto o nei vestiti. Per diagnosticare un disturbo da enuresi, tale comportamento dovrebbe presentarsi frequentemente e non dipendere da alcuna condizione medica generale, né dall’assunzione di sostanze.
La “ pipì a letto” è un fenomeno abbastanza comune: interessa circa il 27% dei bambini dell’età di 4 anni, il 15% di 5-6 anni, il 6-7% di 9-10 anni, il 3% di 12 anni e l’1% di 18 anni. Alcuni ricercatori hanno osservato che si tratta di gran lunga del disturbo psicologico più diffuso tra i bambini, soprattutto maschi. 


Disturbo da enuresi: le tipologie

1)Parliamo di enuresi primaria quando i bambini non acquisiscono tale competenza oltre il quinto anno di età. Si tratta invece di enuresi secondaria quando, bambini con adeguata continenza urinaria, la perdono successivamente. Tale condizione si manifesta soprattutto in bambini tra i cinque e gli otto anni d’età. 

2)È possibile classificare l’enuresi come notturna (ossia la classica “pipì a letto”), quando il sintomo compare solo durante il sonno. Si tratta della condizione più comune. Tipicamente si bagna il letto durante il primo terzo della notte. L’atto di urinare è spesso accompagnato da un sogno evocativo.
L’ enuresi diurna si presenta al contrario quando la perdita di urine riguarda le ore di veglia. Questo sottotipo, molto meno frequente del precedente, raggiunge la sua massima frequenza intorno ai nove anni di età, ed in media è più presente nelle femmine.
Esiste poi una condizione mista definita enuresi notturna e diurna. 

3)Un'ulteriore distinzione può essere fatta tra i bambini che sono enuretici continuativamente e quelli che lo sono a intermittenza. 


Disturbi associati all’enuresi

L’enuresi può essere associata ad encopresi (ripetuta evacuazione di feci in luoghi inappropriati), disturbo da sonnambulismo, disturbo da terrore del sonno ed infezioni del tratto urinario (causate proprio dalle condizioni igienico-sanitarie dovute al disturbo). Raramente il sintomo prosegue anche nell’età adulta. 


Quali sono le cause dell’enuresi notturna? 

La causa dell'enuresi notturna sembra essere multifattoriale. 

Alle volte trae origine da un apprendimento sbagliato durante il periodo sensibile, situato tra l'anno e mezzo e i quattro anni e mezzo di età. Pressioni eccessive o, al contrario un’educazione sfinterica ritardata, o infine una compiacente negligenza nell'addestramento, possono determinarne il fallimento ma è anche probabile che in molti casi vi sia una componente ereditaria. 


Il disturbo può essere inoltre legato a problemi familiari (come la separazione dei genitori), o a fattori emozionali, come l’ansia legata a particolari momenti di stress e tensione emotiva, ad esempio per l'inizio della scuola ed essere accompagnata da fobia scolastica ; anche la presenza di una fobia o di un disturbo della condotta è da considerarsi tra i fattori predisponesti. 


Alle volte il bambino, non ancora abile nell’uso delle parole, utilizza questo canale comunicativo, volontariamente o meno, per manifestare un suo disagio o ricercare maggiori attenzioni. Può essere il caso per esempio del figlio unico che, dopo la nascita di un fratellino, ricomincia a fare pipì a letto. 
Talvolta, un atteggiamento permissivo e negligente, oppure rigido e colpevolizzante da parte dei genitori, può costituire un fattore di mantenimento.
Tuttavia, non risulta sempre semplice ed immediato individuare la causa del disturbo, e ancor più importante, difficilmente si riesce ad utilizzare questa informazione per combattere il sintomo. 
In questi casi è consigliabile rivolgersi ad uno specialista. 


L’enuresi nella vita familiare 

La reazione dei genitori di fronte a questo disturbo può essere di vario genere, può andare dalla rabbia al rifiuto, da tentativi di sdrammatizzazione fino all’insofferenza mal celata, può portare il bambino ad essere messo in ridicolo, ottenere una punizione o raggiungere maggiori attenzioni. I genitori potrebbero considerare l'enuresi un evento da accettare fatalisticamente come conseguenza inevitabile dell'allevare i propri figli. In ogni caso la loro risposta avrà influenza sul sintomo. 
È importante aver presente che si tratta di un disturbo psicosomatico, un po’ come il mal di pancia, quindi non è possibile chiedere al bambino di controllarsi, in quanto l’enuresi non è volontaria.
Nel caso in cui si istauri un circolo vizioso dal quale non si riesce ad uscire, prima che il sintomo acquisisca una notevole stabilità e prosegua anche in età avanzata, dove potrebbe avere dei risvolti psicologici e sociali più invalidanti, soprattutto in adolescenza, è consigliabile intraprendere una terapia familiare, processo nel quale i genitori e altri membri della famiglia possono rivelarsi una risorsa insostituibile e un sostegno fondamentale per il benessere del bambino o adolescente. 


L’enuresi e il gruppo dei pari: infanzia 


Il valore relazionale del sintomo si può manifestare anche all’interno del gruppo di pari. Una ricerca pubblicata sul British Journal of Urology e condotta ad Hong Kong da prestigiose università, ha preso in esame un campione costituito da 16.500 bambini e ragazzi di età compresa fra i 5 ed i 19 anni e ha rivelato che un ragazzo su cinquanta bagna il letto. 

Nel contesto scolastico, tra le ragioni che possono portare ad una maggior frequenza del sintomo può esserci l’ eccessivo coinvolgimento nell’attività scolastica o nel gioco, come pure la riluttanza ad usare il bagno per ansia sociale.
L’enuresi è fonte di imbarazzo per chi ne soffre: il bambino può essere allontanato o preso in giro dai compagni di classe, fino ad arrivare ad un vero e proprio ostracismo sociale. Il sintomo impone un limite nella scelta delle attività del bambino; pochi enuretici possono felicemente andare in campeggio o rimanere a dormire da amici. 


L’enuresi e il gruppo dei pari: adolescenza 

Spesso questo problema si ripropone o persiste in adolescenza e diventa particolarmente delicato durante il servizio militare. I ragazzi che soffrono di enuresi notturna sono costretti a sperimentare il disagio di bagnare la branda e cercare in tutti i modi di nascondere un evento che rischia di diventare uno stigma sociale pericoloso in un ambiente militare che, a volte, è poco incline a mostrarsi comprensivo. Circa l'82% dei ragazzi di età compresa fra gli 11 ed i 19 anni che soffrono di enuresi notturna, bagnano il letto più di tre volte alla settimana. Dalla ricerca si evince una consistente correlazione con le incontinenze diurne: circa il 32% dei ragazzi fra gli 11 ed i 19 anni che soffrono di enuresi notturna, manifestano anche enuresi diurna, mentre tra i bambini al di sotto dei 10 anni, questa percentuale si aggira intorno al 15%, ovvero la metà. 

In tutte queste circostanze, è necessario intervenire con un percorso terapeutico adeguato affinché non si abbiano ripercussioni negative sull’autostima e non si presentino disturbi emotivi reattivi che potrebbero minare seriamente lo sviluppo personale e la vita sociale.



 

Disturbo da deficit dell'attenzione


Ci capita spesso di osservare bambini estremamente vivaci, che faticano a mantenere a lungo l’attenzione su uno stesso stimolo o sentono il bisogno di muoversi continuamente e si distraggono nel fare cose diverse dai compiti in cui si cerca di coinvolgerli. 

Nella maggior parte dei casi questi comportamenti rientrano nella normale esuberanza infantile, alle volte però possono assumere un ruolo più decisivo nello sviluppo del bambino, compromettendone l’apprendimento, i rapporti interpersonali e familiari , interferendo anche con la vita scolastica, la relazione con i coetanei e con le insegnanti. Quando è presente un disagio in tutte queste aree di funzionamento del bambino, si parla di “Disturbo da deficit d’attenzione”, più comunemente indicato con il termine “Iperattività”. 


Il DSM IV (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) definisce il Disturbo da deficit d’attenzione/iperattività (ADHD), come una condizione in cui è presente una persistente disattenzione e/o iperattività/impulsività. 


Nonostante la diagnosi venga spesso fatta in età scolare, alle volte è possibile identificare il disturbo anche prima. Durante l’infanzia, i bambini iperattivi sono sempre in movimento, saltellano avanti e indietro, si arrampicano sui mobili, corrono per la casa ed hanno difficoltà a concentrarsi in attività di gruppo sedentarie. Quando invece il disturbo si protrae nell’adolescenza, e nell’età adulta, essi avvertono sensazioni di insofferenza e difficoltà a cimentarsi in occupazioni tranquille e statiche.


In famiglia il bambino iperattivo viene percepito come "un terremoto"!
Viene descritto come irrequieto e poco interessato alle attività in corso. Questi bambini fanno molta fatica a concentrarsi e tendono ad agire senza pensare. Spesso perdono o rompono i loro giocattoli, hanno bisogno di continua attenzione da parte dei genitori, si trovano implicati in frequenti liti con i fratelli, dimenticano facilmente le regole del gioco o di buon comportamento. Proprio per questo, molte volte si sentono frustrati quando sperimentano l’incapacità di partecipare con successo ad un gioco oppure di eseguire in modo corretto un compito. D’altra parte si oppongono con vigore ai cambiamenti delle abitudini e delle certezze della vita quotidiana. Infine hanno una modalità disorganizzata di rapportarsi a bisogni quali l’ alimentazione e il sonno.

A scuola, le insegnanti li considerano alunni difficili da gestire ed educare, bambini che faticano a prestare attenzione ai particolari e che fanno molti errori dovuti alla disattenzione; alle volte sembra che la loro mente sia altrove e che non siano in grado di ascoltare quello che si dice. Raramente riescono a portare a termine un compito, tanto più se lungo ed impegnativo, poiché lo avvertono come spiacevole e faticoso. 
Quando è presente iperattività, questi bambini sembrano spesso sotto pressione o “motorizzati”, difficilmente riescono a passare molto tempo seduti e sentono un forte e continuo bisogno di muoversi, senza un motivo specifico. Spesso perdono o rompono il materiale scolastico, i loro quaderni sono disordinati e sgualciti. In classe sono quasi sempre fuori posto. 

Dal gruppo dei coetanei, spesso viene visto come il buffone di classe o come un bambino litigioso. I compagni di scuola possono rispondere con atteggiamenti differenti che vanno dalla paura, all’opposizione, fino al venirne trascinati. A volte il bambino iperattivo è deriso, altre evitato e, nonostante egli continui a relazionarsi agli altri attraverso il suo comportamento clownesco che, apparentemente, sembra rivelare disinteresse di fronte al rifiuto mostrato dagli altri, tuttavia egli può provare una profonda tristezza e, a volte, esprimere disappunto. 


Il nostro mondo ai loro occhi 


Se provassimo ad immedesimarci nella personalità di questi bambini, dovremmo immaginare un mondo fatto di milioni di stimoli ugualmente interessanti che ci bombardano tutti nello stesso momento e a cui vogliamo essere contemporaneamente recettivi.
Il tutto avverrebbe in modo molto veloce e noi proveremmo ansia per non riuscire a focalizzare la nostra attenzione su ogni singolo stimolo.



Diagnosi del Disturbo da deficit d’attenzione/iperattività (ADHD)?

Secondo il DSM VI (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) , è possibile rintracciare delle caratteristiche proprie del disturbo.

Per quanto riguarda il versante disattenzione
Il bambino non riesce a prestare attenzione ai particolari, ha difficoltà a mantenere l’attenzione sui compiti o sulle attività di gioco, non sembra ascoltare quando gli si parla, non segue le istruzioni e non porta a termine il lavoro assegnato, stenta ad organizzarsi, spesso perde gli strumenti necessari per le attività che deve svolgere, è facilmente distratto e sbadato.

Per quanto riguarda il versante iperatttività
Egli si alza spesso, scorrazza e salta dovunque, ha difficoltà a giocare in modo tranquillo, parla troppo e sembra sotto pressione, ha un costante bisogno di muoversi.

Per quanto riguarda il versante impulsività
Egli fornisce le risposte prima delle domande, non attende il proprio turno, interrompe gli altri o è invadente nei loro confronti.

È importante sottolineare che, la diagnosi di un Disturbo da deficit d’attenzione/iperattività, avviene quando sono presenti condizioni specifiche, in assenza delle quali, non ci sono elementi sufficienti per poter fare una diagnosi di questo tipo: i sintomi sono presenti per almeno sei mesi e, alcuni tra questi, compaiono prima dei sette anni e comunque si palesano in almeno due contesti (ad esempio a casa ed a scuola). 


Prevalenza: alcuni dati

Circa 4 bambini su 100 presentano tali difficoltà. Questa condizione è più diffusa tra i maschi che tra le femmine (3:1 nella popolazione generale e 9:1 nella popolazione clinica). Il disturbo nelle bambine è mediamente diagnosticato in un’età superiore. Alcuni di essi sono particolarmente a rischio nello sviluppare problemi di comportamento e disadattamento sociale durante l’ adolescenza, incorrendo nel pericolo di fare abuso di alcool o stupefacenti, di manifestare instabilità emotiva ed affettiva, di assumere condotte di vita poco fruttuose e gratificanti.


Disturbi associati al Disturbo da deficit d’attenzione/iperattività


Esistono poi altri disturbi che possono presentarsi in concomitanza con il Disturbo d’Attenzione/Iperattività. Quelle più frequentemente associate sono il disturbo oppositivo-provocatorio e i disturbi della condotta, i disturbi specifici dell'apprendimento (dislessia, disgrafia, ecc.), i disturbi d'ansia e, con minore frequenza, la depressione, il disturbo ossessivo-compulsivo, il disturbo da tic e il disturbo bipolare.



Come si evolve il Disturbo da deficit d’attenzione/iperattività


Malgrado nella terminologia clinica venga usato il termine “disturbo”, va precisato che buona parte di questi bambini, se aiutata tempestivamente con interventi educativi e terapeutici, riesce ad avere una vita scolastica, sociale e familiare adeguata.
La sua storia naturale è caratterizzata da persistenza del problema fino all’ adolescenza in circa due terzi dei casi, fino all’età adulta in circa un terzo o la metà dei casi.
D’altra parte è anche possibile che, nella peggiore delle ipotesi, se non trattato con la dovuta attenzione, col sopraggiungere dell’adolescenza e dell’età adulta, l’ADHD si associ a disturbi dell’adattamento sociale (personalità antisociale, alcoolismo, criminalità), basso livello accademico ed occupazionale, problemi psichiatrici e cattivo adattamento psicosociale. 


La terapia del Disturbo da deficit d’attenzione/iperattività

In questi casi una psicoterapia familiare può rivelarsi estremamente utile. L’obbiettivo di tale approccio è quello di utilizzare i genitori e la famiglia come risorse terapeutiche in quanto rappresentano le persone che, più di ogni altra, conoscono il bambino, risentono delle difficoltà personali e familiari dovute al problema e sono maggiormente predisposte e competenti nell’ aiutare un componente della propria famiglia.

L’approccio alla terapia parte da due presupposti fondamentali:

1) Innanzi tutto è necessario comprendere che questi bambini non hanno nessuna colpa, il loro comportamento non rispecchia alcun tipo di oppositività “congenita”, ma probabilmente solo secondaria a tutto l’insieme di rifiuti, delusioni, etichette che ricevono da un ambiente percepito come ostile, ambiente che in verità è solamente rassegnato e stanco di combattere con un bambino che sembra intrattabile.

2) Né tanto meno hanno colpa i loro genitori che invece vengono spesso additati come incapaci di svolgere bene il proprio ruolo di educatori. In realtà la causa dell’iperattività non è da cercare nel modo in cui i genitori hanno educato il figlio. Non è semplice infatti favorire quell'esperienza esistenziale positiva del bambino potrà evitare disturbi comportamentali secondari su base psico-emotiva causati da “insuccessi” e frustrazioni nel campo relazionale, sociale e scolastico.

In questo senso è utile che genitori ed insegnanti si avvalgano di una consulenza psicologica sistematica per concordare le strategie e i metodi educativi da applicare, tenendo comunque presente che, per poter conseguire risultati concreti, sono indispensabili costanza e sistematicità nell’uso di tali procedure.

La psicoterapia familiare si pone molteplici obiettivi. Tra i principali:

- Prevenire i sintomi secondari: poiché è possibile che coloro che presentano un ADHD manifestino nel tempo dei sintomi derivanti da una cattiva interazione tra le caratteristiche proprie del disturbo e l’ambiente scolastico, sociale e familiare.

Se l’ambiente non sviluppa la necessaria sensibilità al problema, potrebbe rischiare di rispondere in modo tale da rinforzare o di minimizzare comportamenti disadattivi. La costanza, l’impegno e il tempo unitamente a interventi terapeutici validi che agiscono su tutti gli aspetti del problema, permettono a questi bambini di spezzare il circolo vizioso di insuccesso e frustrazione e di aumentare considerevolmente abilità personali e autostima. I bambini devono essere incoraggiati a sviluppare il loro potenziale, mettendoli in grado di aumentare la loro efficacia.

- Migliorare la vita familiare: A causa di tutti i fattori correlati al disturbo anche la vita familiare può risultare compromessa. In terapia si cerca di ricostruire la serenità familiare e di individuare comportamenti e strategie utili al bambino e al genitore per favorire uno sviluppo buono e adattivo.

- Incrementare le abilità relazionali. Questi bambini faticano a trovare il giusto modo di relazionarsi nel gruppo di pari. Il fatto di non padroneggiare le regole e di sentirsi facilmente frustrati, li porta frequentemente a mettere il broncio o essere capricciosi. Appaiono poco flessibili ed adattabili e ricevono meno gratificazioni e apprezzamenti dai compagni e maggiori rifiuti.

- Potenziare l’autostima: i continui rifiuti e i fallimenti possono portare questi soggetti a perdere la fiducia in sé stessi. In terapia si lavora affinché i cattivi risultati a livello sociale, scolastico, familiare o sportivo non portino a sentimenti di inadeguatezza tanto importanti da diventare parte di sé e pregiudicare una buona autostima. Questo intervento può prevenire conseguenze negative come la depressione o l’ansia reattive.




Fobia scolastica



Capita frequentemente che, sia i bambini che gli adolescenti, possano incontrare delle difficoltà a rapportarsi con il mondo della scuola che, percepita come un luogo che genera ansia, viene evitata, vissuta come un peso in grado di generare, a volte, una vera e propria angoscia. Spesso i genitori sono disperati perché ogni loro tentativo, dal più morbido al più drastico, sembra essere inefficace di fronte all'ostinazione dei figli che, di contro, adducono le motivazioni più disparate per spiegare ai genitori che non vogliono andare a scuola: la paura di alcuni insegnanti, la conflittualità con alcuni compagni, la paura di essere presi in giro, il timore di non essere all'altezza di svolgere determinati compiti e in più la presenza di una specifica sintomatologia, ogni qualvolta ci si avvicini già solo all'edificio scolastico. 

FOBIA SCOLASTICA 

Sebbene la fobia scolastica non sia direttamente menzionata all’interno del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, capita spesso di confrontarsi con questo disagio. La fobia scolastica o rifiuto ansioso della scuola descrive quelle situazioni in cui il rifiuto di andare a scuola si accompagna a reazioni molto intense di ansia e panico che presentano un vasto ventaglio di sintomi.

Tale condizione riguarda l’1-5% dei ragazzi in età scolare senza differenze di genere, ed è più frequentemente riscontrata durante alcuni delicati cambiamenti evolutivi, quali l’inserimento nella scuola elementare (5-6 anni) e il passaggio alle scuole medie (10-11 anni). 


Sintomi della fobia scolastica 

I sintomi che si possono presentare al momento di andare a scuola sono agitazione, paura, pianto, fino al vero e proprio panico. Il soggetto può lamentare disturbi somatici come dolori addominali, vertigini, mal di testa, tremori, palpitazioni, dolori al torace, nausea, vomito, diarrea, dolori alle spalle e dolori agli arti. Quando l’angoscia è presente sin dalla sera precedente, si possono presentare disturbi del sonno, incubi e risvegli notturni a volte accompagnati da enuresi. 

Spesso il ragazzo supplica i genitori di tenerlo a casa, promettendo che andrà a scuola il giorno dopo. A volte tenta di imporsi con la forza e con comportamenti violenti. Altre volte sembra calmarsi con la costrizione, ma non appena potrà, cercherà di fuggire dalla scuola per tornare a casa oppure lamenterà dei disturbi di fronte alle insegnanti che telefoneranno ai genitori affinché vengano a riprendere il proprio figlio.


Tra i fattori che possono facilitare l'insorgere di una fobia scolastica vi sono: 

• eventi di vita stressanti (come la malattia propria o di un familiare, la separazione tra i genitori o dai genitori);
• relazioni conflittuali nella famiglia;
• un legame problematico con uno dei genitori;
• difficoltà con il gruppo dei pari o con un insegnante;
• il ritorno a scuola dopo una lunga interruzione o vacanza. 

Alcune ricerche, che testimoniano una maggior frequenza del disturbo in figli di genitori che hanno a loro volta incontrato questa problematica nella loro vita, fanno pensare che possa esistere una vulnerabilità ereditaria. 

Spesso la famiglia è molto coinvolta da questo problema e sperimenta tutte le strade possibili per spingere i figli ad andare a scuola. A volte intervengono anche nonni, zii, cugini e, in alcune realtà di paese, addirittura anche i vicini di casa, in una specie di processione mattutina in camera del ragazzo/a che, di conseguenza, tiene in scacco tutte quelle persone che si preoccupano per lui/lei. Quando la fobia scolastica persiste e sfocia in un'evasione scolastica, la scuola può segnalare il caso ai servizi sociali che si uniranno a tutta la folta schiera di persone, insieme anche ad insegnanti e dirigente scolastica, interessati al giovane e alla sua fobia scolastica 


IL DISTURBO DI ANSIA DA SEPARAZIONE 

La paura di andare a scuola può essere facilmente correlata ad un disturbo d’ansia di separazione che si riferisce all’ansia che può incontrare il bambino nell’allontanarsi dalla sua casa e dalla sua famiglia. 
Se è pur vero che esistono dei periodi sensibili in cui il bambino è considerevolmente preoccupato per la lontananza e la perdita di un genitore, tuttavia il livello di tale preoccupazione alle volte può crescere smisuratamente, perdurare nel tempo, fino a diventare una vera e propria angoscia difficile da gestire. 

Secondo il DSM IV (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali), si può parlare di disturbo d’ansia di separazione, quando siamo di fronte ad un’ ansia inappropriata rispetto al livello di sviluppo e un’ansia eccessiva che riguarda la separazione da casa o da coloro a cui il soggetto è attaccato. 


Sintomi del disturbo d’ansia di separazione 

I sintomi più frequenti sono: malessere eccessivo ricorrente quando avviene la separazione da casa, persistente ed eccessiva preoccupazione riguardo alla perdita dei principali personaggi di attaccamento o riguardo al fatto che un evento spiacevole e imprevisto comporti una separazione da loro, riluttanza o rifiuto di andare a scuola o altrove, paura o riluttanza a stare solo o a dormire da solo, incubi sul tema della separazione, ripetute lamentele di sintomi fisici quando avviene o è solamente annunciata la separazione. 


LA FOBIA SOCIALE 

In altri casi la paura di andare a scuola nasconde una fobia sociale ovvero una paura marcata e persistente che riguarda le situazioni sociali o prestazionali che possono creare imbarazzo. 

La risposta allo stimolo sociale prevede un’ ansia eccessiva e irragionevole, che può dar luogo anche ad attacchi di panico. La paura del giudizio sembra essere all’origine del disagio. 

Tale fenomeno influisce significativamente sulla routine quotidiana inibendo alcune attività e spesso condizionando i ritmi del resto della famiglia. 

Le situazioni che espongono il ragazzo a contatti sociali, sembrano provocare una forte insicurezza che, a lungo andare, sfocia in isolamento sociale, disadattamento, evitamento delle persone e delle circostanze che implicano un contatto sociale. 


Sintomi della fobia sociale 

Tra i sintomi più frequenti: preoccupazione di rimanere imbarazzati, timore del giudizio degli altri e conseguente paura di apparire ansiosi, deboli, pazzi o stupidi, correlati fisiologici dell’ansia (come palpitazioni, sudorazione, malessere gastrointestinale, arrossamento del viso, tremori, diarrea e tensione muscolare, fino all’attacco di panico), timore di vomitare ed urgenza o timore di urinare. 

Nei bambini si presentano inoltre: pianto, scoppi d’ira ed irrigidimento, l’aggrapparsi o lo stare vicina ad una persona familiare, inibizione delle interazioni fino al mutismo. 

Tipicamente, l’esordio si ha nell’adolescenza, spesso esiste una storia infantile di inibizione e timidezza. 

Altri disturbi che possono associarsi al rifiuto scolastico sono l’ansia generalizzata, gli attacchi di panico, la fobia specifica, il disturbo post traumatico da stress, il disturbo della condotta, il disturbo da deficit di attenzione-iperattività, oltre ai disturbi dell’apprendimento. 


La terapia 

Il disturbo di fobia sociale, così come gli altri menzionati, può risultare invalidante fino a compromettere una frequenza scolastica continuativa (evasione scolastica). 

Le conseguenze riguardano diversi ambiti: lo sviluppo emotivo e sociale, le acquisizioni scolastiche, le difficoltà nei rapporti con la famiglia e con il gruppo dei pari. 
Tra le conseguenze a lungo termine vi è anche il rischio che tale atteggiamento possa in seguito riproporsi nella sfera lavorativa, minando ulteriormente la fiducia in se stessi, la propria autostima, rallentando il processo di crescita, inibendo l’autonomia e influenzando negativamente il processo di differenziazione ed emancipazione dalla famiglia. 

È consigliabile pertanto, chiedere aiuto ad un esperto prima che il disturbo acquisti un peso significativo. 

Quando si tratta di bambini o adolescenti, il percorso più indicato è la terapia familiare, in quanto il contesto affettivo in cui è inserito il ragazzo, riveste una grande importanza. 

Accade frequentemente che i numerosi tentativi fatti dai genitori o dai parenti per sbloccare questo meccanismo inibente, non abbiano sortito risultati significativi, nonostante la preoccupazione e l’impegno con cui la famiglia ha cercato di aiutare il ragazzo. 

La terapia familiare offre uno spazio in cui le premure delle persone coinvolte possono acquistare un nuovo significato, un nuovo valore che, oltre ad avere una funzione rassicurante, possono costituire un solido trampolino di lancio. 

Le esperienze e la storia di alcune famiglie, conferiscono molto valore alla funzione protettiva e rassicurante del nucleo familiare e, in alcuni casi, il bambino o ragazzo che manifesta il disagio sociale, può godere di attenzioni e premure a cui spesso è difficile rinunciare. 

In ogni caso, la famiglia risulta essere una risorsa importante per affrontare questo disturbo, in quanto, essendo un’alleata competente e motivata, è in grado di fornire una valida collaborazione in terapia.



Depressione e Adolescenza



L’adolescenza 

L’adolescenza è quella fase di passaggio dallo status di bambino a quello di giovane adulto e, proprio in quanto si tratta di una fase di transizione, prevede un costante dinamismo e continui cambiamenti che spesso, dall’esterno, vengono scambiati per volubilità, instabilità, squilibrio. L’adolescente cambia il modo di rapportarsi al proprio corpo, ai genitori, agli adulti, ai coetanei, alla società e questi mutamenti, richiedono la presenza di un contesto familiare che, oltre a svolgere una funzione contenitiva, ha anche lo scopo di aiutare il giovane a costruire la propria identità, i propri valori. Quando ciò non avviene, possono manifestarsi nell’adolescente disturbi della condotta, ritiro e isolamento sociale, disturbi alimentari, alterazioni dell’umore che rischiano di sfociare stati depressivi. 


Adolescente e corpo che cambia 

Il bambino, femmina o maschio che sia, va incontro alla trasformazione del proprio corpo: vede le ossa allungarsi fino a raggiungere l’altezza definitiva, vede i tratti somatici modificarsi, i genitali maturare… tutti questi mutamenti lo pongono in relazione con il mondo in modo differente. Il suo corpo attira l’attenzione propria e altrui in modo nuovo, alcune cose che prima erano concesse adesso diventano proibite e predomina la tendenza esplorativa. 

Tutto questo pone l’adolescente in una situazione di forte incertezza. Il fatto che debba imparare a gestire nuove dimensioni fisiche, è poca cosa se paragonato a quanto deve imparare a fare a livello psicologico. Nuove emozioni irrompono nella psiche, raggiungere la maturità sessuale porta con sé la nascita di nuovi desideri e il bisogno di investigare la propria fisicità appena acquisita. Il rapporto con l’altro sesso, spesso disprezzato fino a questo momento, si trasforma sotto la spinta della tensione sessuale e amorosa, che essendo legata ai cambiamenti ormonali, risulta fisiologica in questo momento della vita. 

Il compito di questa fase del ciclo di vita è carico di difficoltà, prevede l’integrazione del nuovo con il vecchio, per raggiungere un’immagine di sé integrata ed accettabile nella sua interezza. 

Di fronte a tutte queste novità spesso si attraversano momenti di incertezza, di tristezza e di paura che condizionano il rapporto con gli altri. In un certo senso l’emergere di queste sensazioni è connessa ad una sorta di nostalgia legata alla fase di vita precedente, l’infanzia. 

È frequente la sensazione di non avere un corpo adeguato e spesso si ha la necessità di passare molto tempo allo specchio a “riconoscersi”, a trovare il miglior modo per presentare agli altri un fisico in evoluzione, non ancora adulto ma non più bambino, un corpo di cui spesso ci si vergogna e che viene percepito con grande disagio e senso di inadeguatezza. 

Tutto questo sforzo può portare a sentimenti negativi: disprezzo verso se stessi o verso i propri genitori che “hanno generato un corpo con tanti difetti o non hanno fatto niente per migliorarlo”, insoddisfazione che può portare ad atteggiamenti autolesionistici, diete drastiche….; confusione: “come mi devo comportare ora?” “Come diventerò?” ,“ Perché le persone mi guardano in modo diverso?” , “I miei genitori mi vorranno ancora bene?” , “ I miei amici mi accetteranno?”, spesso gli adolescenti avvertono un senso di rifiuto o critica soprattutto da parte del genitore di sesso opposto; isolamento: a volte ci si percepisce così inadeguati che si preferisce stare appartati, evitare i contatti sociali e ritirarsi in contesti che possono apparire temporaneamente più gratificanti come i social network, le comunità virtuali che, nei casi più gravi, rischiano di sfociare in forme di dipendenza dalla rete. 


Adolescenti e genitori 

Anche il rapporto con i genitori ha un ruolo fondamentale. I ragazzi spesso manifestano atteggiamenti ribelli e si ritengono incompresi. I genitori, da parte loro, da un giorno ad un altro possono avere la sensazione di non riconoscere più il loro bambino, spesso non sanno come interpretare e leggere le emozioni del figlio, possono trovarsi disorientati di fronte a questi cambiamenti, soprattutto se l’atteggiamento dell’adolescente è percepito come impenetrabile, ambiguo, sfidante o poco controllabile . 

L’atmosfera familiare può cambiare e si può andare incontro a momenti di grande tensione. A questa età i ragazzi spesso contestano le scelte e i valori dei genitori, che vengono sostituiti da nuovi e ferventi ideali. I genitori, messi di fronte a tali cambiamenti, possono avvertire una sorta di rifiuto, ma è bene considerare che questo è solo l’aspetto più estremo e amplificato di un sottostante bisogno di differenziazione, sano e fisiologico, che diventa problematico solo se, nella relazione tra genitori e figli, ci sono aspetti di chiusura così rigidi da impedire uno scambio comunicativo efficace e autentico. 

I motivi che spingono i genitori a preoccuparsi sono molteplici: la paura che la volubilità del proprio figlio possa renderlo vulnerabile a influenze esterne poco raccomandabili; il timore che non si abbia il senso del limite e la responsabilità di considerare le conseguenze delle proprie azioni; il dubbio che certi cambiamenti possano ostacolare la carriera scolastica e minacciare le prospettive future; la percezione che il figlio viva delle situazioni di vita, a scuola o tra gli amici, che generano inquietudine nel ragazzo ma restano oscure al genitore…….I timori dei genitori sono comprensibili: i loro comportamenti a volte controllanti o indagatori, altre volte accondiscendenti e amicali, sono dettati dalla volontà di desiderare il massimo bene per i propri figli anche se a volte le modalità e le strategie adottate non sortiscono i risultati sperati. 


Adolescenti ed adulti 

Agli occhi degli adulti gli adolescenti rischiano di apparire come bambini troppo cresciuti che non sanno valutare quando è il caso di fermarsi. Il loro gergo risulta fastidioso e uniformante, la loro gestualità esagerata. La loro sfrontatezza sembra sinonimo di scarsa educazione. È a proposito di questi aspetti che il mondo degli adulti ha coniato il termine di “crisi adolescenziale”. 

La cultura adolescenziale è senza filtri e spesso in antitesi con quella dominante che, proprio per questo motivo, è oggetto di sfida. Basti pensare alle costanti provocazioni che molti adolescenti dirigono al sistema scolastico, ai docenti, alla legge….. spesso mettendosi nei guai o arrivando a compiere gesti inconsulti: è il caso del vandalismo, del bullismo……………… 


Adolescenti e società 

I modelli sociali acquistano un valore vastissimo, spesso a partire dalla TV. L’adolescente trova rassicurante ed entusiasmante appartenere ad un “gruppo sociale” nel quale riconoscersi e identificarsi: questa adesione lo fa sentire meno diverso, meno sbagliato, ha una funzione di orientamento e permette di assumere quello status (attraverso il look, gli accessori, gli hobbyes…) che crea aggregazione. Ad esempio la magrezza delle “belle in Tv”, è ricercata ed ambita sia perchè riconosciuta socialmente come desiderabile sia per la sua similitudine con il corpo infantile appena perso e rimpianto. Quando le ossa e la carne non permettono di essere come i modelli impongono, le giovani donne possono nutrire sentimenti di disagio così forti da sfociare in disturbi da dismorforfismo corporeo, disturbi alimentari come anoressia, bulimia nervosa, binge eating disorder….. 

Nella nostra epoca l’ incertezza dell’età va poi a sommarsi a quella culturale di un mondo in metamorfosi, che utilizza sempre nuovi canali e strumenti per rinnovare e rinnovarsi. Il mondo degli adolescenti di oggi è molto diverso rispetto a quello degli adolescenti di solo una generazione fa. Questo pone i genitori in una posizione insolita rispetto a quanto accadeva anche solo 50 anni fa: agli adulti odierni infatti non è concesso di guidare, consigliare e dare sostegno senza aver prima imparato i nuovi codici sociali e comportamentali, ignorando i quali si ha sempre meno controllo sulla vita dei propri figli. 



Adolescente e coetanei 

Inoltre un posto di rilievo lo occupa il mondo dei coetanei, che a questa età acquisisce una rilevanza quasi totalizzante. La maggior parte delle volte i vissuti sono quelli di sostegno ed appartenenza al gruppo, tuttavia può capitare che non sia così. Quando il rapporto con il gruppo dei pari risulta compromesso, come ad esempio nel caso delle vittime di bullismo, si può rischiare di andare nella direzione della depressione. Il gruppo dei coetanei può costituire un’importante fonte di rispecchiamento, conferma e costruzione della propria identità e così come può risultare una grande risorsa, allo stesso tempo può trasformarsi in un’esperienza traumatica quando il contesto delle amicizie è ostile e aggressivo. 



Adolescente e depressione 

Secondo le statistiche dell’Unione Europea il 4% degli adolescenti europei tra i 12 e i 17 anni soffre di depressione grave e si sale al 9% intorno ai 18 anni. 

Le cause scatenanti possono essere eventi dolorosi come un lutto, la separazione dei genitori, una delusione amorosa o problemi con il gruppo dei pari, per esempio a scuola. 

In questi casi succede che l’angoscia, la noia o l’assenza di voglia di fare diventino lo stato emotivo predominante e minaccino la sfera affettiva, relazionale o scolastico-lavorativa del soggetto. L’umore risulta depresso, il pensiero ed il comportamento ne risentono, le funzioni cognitive appaiono alterate. Tristezza, malinconia e preoccupazione sono gli stati d’animo predominanti. Possono essere presenti irritabilità e nervosismo. Il ragazzo non sente più interesse in alcuna attività e può tendere al ritiro; la sua autostima si può abbassare bruscamente e può non sentirsi più in grado neanche di svolgere quei compiti che prima riteneva semplici. 

Ad esempio i ragazzi tornano a casa con espressione malinconica, a passi lenti e svogliati, si chiedono nelle loro stanze per ore, si innervosiscono per una frase mal posta, evitano il contatto con gli altri, trascurano la cura della propria persona...... I genitori ed i fratelli si possono chiedere cosa hanno fatto per meritarsi tanta rabbia o indifferenza, se dipende da loro e come possono interrompere questo atteggiamento. 

Possono essere colpite anche l’area del sonno e quella dell’alimentazione. Alcuni ragazzi in adolescenza cominciano ad andare a dormire molto tardi o perché escono con gli amici e fanno le ore piccole o perché trascorrono molto tempo al computer, altri passano ore ed ore nel dormiveglia. Alcuni girovagano per casa e consumano pasti in modo irregolare e poco salutare col rischio di incorrere in disturbi alimentari che, se sommati ad altri aspetti problematici della vita del giovane in quel momento, nelle forme più gravi sfociano in situazioni estreme come l’anoressia e la bulimia. 

Il ragazzo può infine lamentare dolori cronici, cefalee o fastidi gastro-intestinali. I mal di testa per esempio, possono diventare più frequenti e influire sulle relazioni sociali e sugli impegni scolastici e lavorativi. 


Le forme della depressione in adolescenza 

La depressione, in età adolescenziale, può prendere diverse forme. Tra queste: 

- distimia: in questo caso sono maggiormente presenti affaticamento, bassa autostima, stanchezza e perdita di interesse. 

- disturbo depressivo stagionale: maggiormente frequente tra ottobre e novembre. 

- stati misti dell’umore: in cui lo stato depressivo è ciclicamente sostituito da altri stati alterati dell’umore (rabbia, eccitamento, etc.) 

In tutti questi casi è consigliabile agire con celerità poiché lo stato di umore triste e malinconico potrebbe diventare persistente per un periodo abbastanza lungo da compromettere il benessere individuale o presentarsi talmente a lungo da conservarsi anche nell’età adulta. 



La terapia 

La difficoltà maggiore che si incontra in questi casi consiste proprio nel rischio di non riconoscere la malattia identificandola come depressione. Una volta che si riconosce il problema e si arriva a chiedere aiuto, normalmente gli interventi terapeutici risultano efficaci. Per raggiungere questo obbiettivo è utile che genitori, insegnanti e figure di riferimento siano sempre attenti ai possibili segnali che mandano i ragazzi, come ad esempio un improvviso calo nel rendimento scolastico, uno stile alimentare insolito……. 

Quando gli adolescenti si trovano ad affrontare una depressione, i genitori ed i familiari rappresentano sempre una risorsa preziosa e, proprio per questo motivo, un percorso di terapia familiare risulta essere quello più efficace. Nel caso di adolescenti con disturbi dell’umore, è utile tener in considerazione che nella genesi del disturbo possano subentrare una serie di fattori che funzionano come con-cause rispetto all’istaurarsi del problema: le caratteristiche del contesto familiare, la storia personale dell’adolescente, il rapporto che questo ha con le sue figure di riferimento…. Un lavoro terapeutico familiare può quindi portare a ristabilire la serenità individuale del ragazzo e contemporaneamente quella familiare. 

Tale tipo di approccio al problema permette di modificare alcune premesse familiari, che seppur durante l’infanzia avevano funzionato in modo soddisfacente, adesso invece, in adolescenza, è spesso necessario mettere in discussione, tenendo comunque presente che, se per certi versi i figli reclamano autonomia, per altri sono ancora bisognosi di cure ed attenzioni, a volte ancora più intensamente che nelle fasi precedenti. I genitori vanno quindi sostenuti nel trovare la giusta distanza dai figli e nel capire in che modo possono trovare la chiave per aprire il silenzio dei loro figli.